Riporto integralmente questo interessante articolo tratto da “Choraliter” di Gennaio, rivista quadrimestrale di Feniarco.
Diverse cose mi hanno colpito profondamente:
• il bisogno di continuare a ricercare il bello: vera risposta al desiderio di arte e di cultura
• la certezza che un percorso specificatamente musicale, debba coincidere con una spirale di valori, di sperimentazioni anche personali, che impegnino il musicista (artista), a superarsi, a cercarsi, a migliorarsi, sempre
• la consapevolezza che tale percorso coincida fondamentalmente con l’approfondimento dell’A,B,C, la piena consapevolezza dei minimi strumentali, non con l’innalzamento maniacale del margine di difficoltà, che rischierebbe di ridurre l’aspetto sonoro ad un virtuosismo vuoto e anche poco educativo
Si parla di vocalità e di respiro….beh, direi che più A,B,C di questo!
Il rapporto tra la mente il corpo
Quando sono in ascolto di un brano musicale nuovo, oppure già noto che mi cattura ogni volta per la sua bellezza o mi sorprende per il suo procedere, mi metto in ascolto del mio respiro e lo lascio andare dietro la musica, lascio che si sospenda su una voce o che precipiti in una pausa. È un’abitudine alla quale non so rinunciare perché mi offre la percezione di un respiro che è mio, naturalmente, ma è anche estraneo a me. Segue altre regole.
Il respiro è così: impalpabile e allo stesso tempo estremamente materico, muove le parti più interne del corpo e le apre all’esterno, ci parla di noi ed è totalmente fuori controllo, è voce e presenza nel silenzio.
Come può una funzione così area e delicata essere di vitale importanza e materia viva della nostra voce? Da molti anni indago sulle molteplici relazioni tra respiro e postura, tra respiro e suono, tra respiro e musica e ho scelto di orientarmi considerando il respiro un movimento del corpo regolato in gran parte dal sistema nervoso involontario, ma in parte anche da quello volontario. Un movimento ha bisogno di muscoli che lo realizzino, ha direzioni, intenzioni, recettori muscolari che offrono informazioni sulla posizione del corpo nello spazio, ha un suo proprio ritmo ed è strettamente in relazione con il mondo emotivo e con il mondo esterno.
- Tutto il corpo respira
Per comprendere le innumerevoli relazioni, indagare la materia di queste ed evitare di cadere in un mondo fatto di suggestioni dobbiamo fare una breve e veloce parentesi di fisiologia della respirazione anche se è sicuramente ben nota a tutti.
La respirazione in condizioni di quiete è realizzata dal diaframma, muscolo involontario, e dai muscoli intercostali interni ed esterni. Ma questa condizione è abbastanza eccezionale nella vita di tutti i giorni e per questa ragione dobbiamo immediatamente considerare la partecipazione di tutti i muscoli chiamati accessori della respirazione. Sono tanti e, seguendo la chinesiologia delle catene muscolari, sono distribuiti in tutto il corpo. Il loro reclutamento è strettamente funzionale al valore vitale della respirazione.
Se, ad esempio, ci troviamo accucciati a terra, il diaframma avrà una possibilità di movimento limitata, gli intercostali saranno bloccati da un torace chiuso, avremo assolutamente bisogno di altri muscoli per garantire al corpo il fabbisogno di ossigeno. In questo caso interverranno i muscoli dorsali, gli scaleni e i trapezi. A loro volta questi muscoli sono legati agli ischiocrurali e a tutta la catena muscolare posteriore.
Ecco che in un momento si profila una partecipazione di tutto il corpo alla funzione respiratoria. Il nostro corpo respira. Tutto. Questo presupposto rappresenta una grande opportunità per ognuno di noi e allo stesso tempo può essere origine di problemi. Come mai una tensione nel collo e nelle spalle impedisce al diaframma di scendere liberamente e di conseguenza blocca la mia voce? Perché un mancato radicamento delle gambe e dei piedi a terra influenza tutta la funzione respiratoria e toglie forza alla voce?
Senza fare facili semplificazioni, la risposta risiede nel lavoro che tutto il corpo fa per organizzare il proprio movimento respiratorio e ci impone uno sguardo più ampio nell’osservazione del rapporto tra respiro e postura e di conseguenza tra respiro e voce. Avere uno sguardo più ampio significa anche abbandonare qualunque idealità sulle condizioni del corpo e addentrarci invece nell’originalità del respiro e della voce. Ognuno di noi porta iscritta nella propria postura la propria vita, i propri adattamenti, la propria storia.
Tutto questo attraverso il respiro diventa anche materia della nostra voce. Il respiro è voce. Il respiro siamo noi. Siamo noi in relazione al mondo esterno e in relazione a tutti i movimenti interni più profondi. Sicuramente dobbiamo trovare la strada migliore affinché questo passaggio tra respiro e voce sia libero e possa creare un facile accesso all’espressione di sé. Sia sano ed efficace. Ma dobbiamo a tutti i costi cercare di non essere normativi quando osserviamo l’organizzazione di un respiro. Dobbiamo invece ascoltare quello che ci rivela della persona, il potenziale espressivo che contiene. Il respiro non è lo strumento della voce, bensì, ripeto, è la voce e per questa ragione va trattato con molta cura e poche direttive.
È proprio in queste considerazioni che rintracciamo infatti la forza archetipica della voce, il suo essere respiro e suono prima che parola, presenza corporea e desiderio di esistere.
In fondo è quello che ci sta maggiormente a cuore e che ci spinge a cantare, a mettere tutto in equilibrio, a creare un’armonia e a permettere una fruizione estetica di ciò che ancora non ci è noto.
- Lasciare entrare l’aria, lasciarla uscire, attendere nella pausa
Per rispettare il desiderio di non intervenire in maniera direttiva sul respiro e allo stesso tempo di creare le condizioni migliori affinché il rapporto tra respiro ed espressività vocale sia in equilibrio, facciamo riferimento agli studi di Ilse Middendorf (Berlino, 1910-2009). Siamo nella Germania della seconda metà del secolo scorso in un clima molto vivace di riflessioni sul corpo e sul rapporto mente-corpo. Gli studi sono molti e Ilse Middendorf si concentra sullo studio del respiro. Dopo più di cinquanta anni di ricerca ci lascia una grande eredità della quale prendiamo ora soltanto due concetti:
• non esiste un respiro giusto, ma molti respiri per tante diverse persone e diversi momenti della vita. Il suo ascolto ci parla di noi, ci racconta come stiamo;
• la respirazione è scandita da tre momenti: lasciare entrare l’aria, lasciarla uscire e attendere nella pausa che un nuovo respiro nasca.
Sono due grandi rivoluzioni. La prima modifica il rapporto di terapeuti, insegnanti di canto, di strumento, direttori di coro e di orchestra con il respiro dei propri pazienti o studenti o membri dell’orchestra. Non significa che ogni respiro va bene e non ce ne occuperemo, significa che devo cercare e lavorare affinché si possa trovare un equilibrio soggettivo e rispettoso della persona. Condizione indispensabile per sviluppare un rapporto creativo con l’espressione artistica.
Purtroppo non abbiamo in questa sede abbastanza spazio per analizzare come tutto ciò sia concretamente possibile.
Per realizzarlo bisogna avere molte competenze ed essere professionalmente preparati. Ma sicuramente ci è di aiuto cominciare a spostare il nostro sguardo.
Il secondo suggerimento di Ilse Middendorf apre un mondo, a mio avviso, molto interessante.
Lasciare entrare l’aria! Cosa significa? Non ci invita a “mettere” dentro l’aria, ma a “lasciare” che entri. Lasciare è qui inteso come un momento attivo, non è sinonimo di abbandono, invita invece a creare nel corpo la condizione migliore perché l’aria entri. Significa disporsi a essere accoglienti, a permettere al mondo esterno di entrare dentro di me. Significa raccogliersi verso il proprio mondo interno prima di aprirsi all’esterno, a cercare dentro di sé ciò che sarà poi espressione di udibile con la voce, alla ricerca di quel suono, quel timbro, quel passaggio che è già vivo nel corpo.
Significa conservare sempre la dimensione dell’ascolto, anche e soprattutto in occasioni performative. Significa inoltre creare una condizione corporea di distensione molto utile a una successiva espressione vocale o alla realizzazione di un gesto allo strumento. “Mettere” dentro l’aria, spingerla in qualche modo in qualche parte del corpo, contribuisce invece a creare una condizione di tensione sulla quale verrà successivamente poggiata la voce o il suono. Ci mette troppo spesso in una condizione di pre-occupazione, che satura il contesto.
Il percorso verso la progressiva capacità di lasciare entrare l’aria è fondato sulla possibilità di liberare il corpo dalle tensioni, di aprire spazi di respiro e di risonanza, di costruire solidi appoggi. È un percorso possibile nella misura in cui cresce la consapevolezza del funzionamento e del coinvolgimento di tutto il corpo.
Non ci sono scorciatoie nel suggerimento di posizioni migliori o di un respiro imposto dall’esterno, c’è una lunga e affascinante strada di conoscenza.
Lasciare uscire l’aria rispetta le qualità fin qui analizzate anche nel momento dell’espirazione, il momento maggiormente legato alla produzione vocale. L’espirazione fisiologica è realizzata principalmente dalla pressione della forza di gravità, dalla distensione dei muscoli inspiratori e dalla necessità di rimettere in equilibrio la chimica respiratoria. Nel momento in cui all’espirazione si associa la voce molte cose cambiano, soprattutto si ha bisogno di un certo grado di tonicità nel corpo atto a creare una pressione sufficiente a far vibrare le corde vocali e a contenere la risalita del diaframma. Se torniamo all’immagine di prima in cui tutto il corpo respira, ecco che ci si presentano molte possibilità per realizzare la tonicità necessaria senza disturbare troppo l’apparato fonatorio e senza interferire eccessivamente sulla libertà del respiro. Lavorando con le catene muscolari posso, ad esempio, creare appoggi nelle gambe e lavorare in sinergia con il diaframma. Ma quello che la ricerca di Middendorf ci insegna e il lavoro Atem-Tonus-Ton di Maria Höller-Zangenfeind (1952-2011) ha successivamente approfondito è che gli appoggi, le aperture degli spazi di risonanza, la qualità tonica si costruiscono tutti durante l’inspirazione e non mentre si canta. Il respiro va considerato sempre nell’interezza del suo ciclo e non soltanto nell’espirazione. Lasciare entrare l’aria disegna il corpo della voce, ne costruisce il timbro e il colore e allo stesso tempo ci coordina con la nostra audiation (Edwin Gordon, 1927-2015).
Si cerca sempre la naturalezza nel canto, ma sappiamo benissimo che non c’è nulla di naturale nella voce cantata.
Il canto è lavoro e fatica, ma il respiro no: il respiro può, o deve, restare naturale. Deve fluire senza apnee, e il suo movimento rappresentare la rete sula quale poggiare ogni esecuzione. Nessuno dovrebbe preoccuparsi del proprio respiro durante un’esecuzione musicale per poter realmente accedere alla propria forza espressiva.
Abbiamo ancora un punto importante della ricerca di Ilse Middendorf, che sicuramente ci aiuta a delineare i confini del corpo del respiro e della voce: la pausa. È un momento molto delicato del ciclo respiratorio e facilmente scompare ogni volta che aumenta la necessità di ossigeno come nel canto o in una corsa, ma allo stesso tempo inserisce un elemento fondamentale per cogliere il ritmo del respiro e soprattutto un elemento di separazione tra l’espiro e il nuovo inspiro.
Lasciare entrare, lasciare uscire e attendere nella pausa che un nuovo respiro nasca, disporsi a cogliere la forza vitale di ogni nuovo inspiro, entrare in contatto con l’impulso del respiro. Nell’impulso è contenuto ciò che è ancora invisibile all’esterno ma già nato nel corpo. Soltanto la pausa ci permette di coglierlo e di spezzare la ripetizione tra inspirazione ed espirazione, favorendo in questo modo il sublime matrimonio tra ripetizione e varietà, fondamentale all’espressione artistica.
- L’ascolto e il respiro del coro
L’ascolto del respiro è la strada principale del cambiamento e della costruzione del corpo del respiro e della voce che abbiamo fin qui seguito. L’ascolto di sé prima di tutto, dei propri movimenti interni, di ciò che è libero e anche delle tensioni, degli spazi che risuonano e di quelli ancora non disponibili. Ascoltare e conoscere il proprio corpo è il primo passo, indispensabile, al cambiamento. Nessuna correzione potrà funzionare con il respiro, sono troppi i legami che lo costituiscono. Possiamo invece costruire una conoscenza e offrire esperienza corporee che nutrano il cambiamento.
L’ascolto è lo strumento principale di questo infinito processo. Essere in ascolto, sentire, sentirsi sentire, accedere alla sensorialità, risvegliarla e non avere timore, tessere l’infinita rete tra interno ed esterno, tra me e l’altro. Diventare consapevoli del movimento del respiro, di lasciare entrare, uscire e della pausa, di come l’intero ciclo respiratorio sia materia della voce e non soltanto l’espiro, permette di conservare la dimensione dell’ascolto in ogni momento. Non esiste un’alternanza tra ascoltare e cantare, esiste un canto intriso di ascolto, di presenza, di relazioni. Non abbiamo bisogno di sottolineare l’importanza che questo ha nel “gruppo coro”, nella costruzione di un nuovo grande corpo di una grande voce mossa dal respiro di tutti.
E così il percorso di conoscenza del movimento del respiro diventa esso stesso il pennello con il quale ognuno disegna il corpo della sua propria voce, immersa in una rete di relazioni infinite atte a rintracciare il senso dell’espressione vocale prima ancora della parola.