Sono ormai tanti, forse troppi, i miei anni di insegnamento e mi trovo continuamente a fare e disfare, ad aprire un percorso, che andrà irrimediabilmente chiuso di lì a poco, ma ogni anno è la stessa storia, un rito che si rinnova: il repertorio, la teoria, l’ascolto, il libro di testo, d’accordissimo, ma poi – in concreto – “cosa faccio fare e come” quando mi trovo con la classe?
I principali problemi sono legati al tempo, sempre meno, ovunque e per tutti, da organizzare con sempre più frequente difficoltà visti gli spazi sempre più presi d’assalto da una moltitudine di ragazzi, ammucchiati in classi senza poesia, da organizzare con pazienza e grande cura.
Ma il nodo cruciale di un insegnante di musica, è quello di far cantare/suonare per lettura e non per imitazione.
Credo che si possa facilmente essere tutti d’accordo, ma quando ti trovi in un Liceo Musicale o al Conservatorio, trovi motivazione e capacità specifiche, ma nella scuola dell’obbligo è tutta un’altra storia, eppure i grandi didatti del passato, parlano chiaro: è possibile insegnare tutto a tutti e la musica – intesa come educazione – è senz’altro spendibile con qualsiasi allievo e con ottimi risultati , ricadute impensabili e benefici profondi.
Cosa fare dunque davanti al bambino/ragazzo?
Quali metodologie?
Quali esercizi?
Una componente irrinunciabile è il bisogno di concretezza, proprio perchè la musica è astratta ed il problema della comprensione della scrittura/lettura, passa dalla “doppia astrazione” della simbologia del suono, in un processo innegabilmente molto difficile!
Rapporto segno-gesto, movimenti, oscillazioni, gestualità con le mani, con i piedi, dondolii, movimenti da sdraiati, accasciati, stando in piedi o in ginocchio, di tutto per identificare il suono, ma collegato al segno (pulsazione, suddivisione e così via), al motorio.
Altro problema, quando si andrà più all’interno della ritmica fine, con i rapporti più piccoli, come gli ottavi, o i sedicesimi: fondamentale l’associazione verbale con vocaboli semplici (esempio, ca-sa = 2 ottavi), capaci di fissare gli accenti ritmici, a quelli tonici delle singole parole, rinforzandoli reciprocamente.
Un esercizio diretto ed utilissimo, consiste nel costruire sopra delle frasi elementari, altrettanti ritmi e leggerli sillabando l’associazione delle durate corrispondenti: mica si potranno snaturare le parole, giusto?..dunque, c’è una certa corrispondenza ed aiuto naturale, fra il verbale ed il musicale.
Così facendo, il bambino imparerà anche a leggere, rinforzerà il proprio equilibrio (circolarità fra i sensi), coordinando fra loro, i vari simboli impiegati.
Posso dire che un’applicazione di questi semplici “consigli”, porta ad innegabili vantaggi,
- come il coinvolgimento di tutti – non solo di pochi noti, magari i più diligenti della classe –
- come l’abbattimento delle tempistiche – data la straordinaria operatività e concretezza, che consente di arrivare in un paio di mensilità di lezione, ad orientare la lettura sugli elementi neutri –
- come una sorprendente capacità di presa di coscienza – che mette a nudo le problematiche legate al coordinamento e conseguenti disgrafie, dislessie, ecc.. –
Non mi pare poco e permette in classi professionalizzanti (Scuole Secondarie, specialmente Superiori), di impostare una vera didattica sul proprio vissuto, prima di trasmetterlo e comunicarlo al bambino, quando ci si troverà ad operare in Scuole Primarie, o Secondarie, con obiettivi analoghi.
L’associazione al movimento, permette di cogliere la regolarità della misurazione del tempo, cogliendo le figurazioni di silenzio e quelle sonore, quelle lente, distinguendole da quelle più veloci, i loro rapporti , loro proporzioni, similitudini e differenze.
Per contro, tali metodi consentono una vera attività specifica, solo su schemi elementari (troppo “cervellotici” e scarsamente operativi, quando si passa a valori più complessi), pregiudicando un vero e proprio “salto di qualità” verso il “pianeta musicale”, ma l’obiettivo risulta essere assolutamente trascurabile, dato che è in termini educativi che va spesa la metodologia, non certamente in chiave artistica!
..….e poi, per dirla alla maniera di Aleksandr Sergeevič Puškin: “….se la musica giungesse con pari intensità a tutti i cuori, chi vorrebbe occuparsi dei miseri bisogni quotidiani? ….tutti vorrebbero fare i musicisti! Il mondo si fermerebbe…”
Dunque, diamo il nostro contributo coerente, senza deprimerci né demoralizzarci (…..certamente, è una bella parola nella scuola d’oggi, ma si salveranno molte menti, molte persone, educandole al bello, all’ascolto di se e degli altri), senza accontentarsi, ma cercando di non scordare mai il significato di “educazione”, piuttosto che “professione”, di “didattica”, piuttosto che “artistica”.